Il parere dell’avvocato. Costituzione di parte civile per l’omicidio del fidanzato

QUESITO:

Premesso che a seguito di omicidio volontario veniva ucciso il Signor Rossi (nome di fanrasia), fidanzato non convivente della Signora Bianca (nome di fantasia), la quale non ha mai coabitato con la vittima, ma che ha avuto con la stessa un legame affettivo molto importante che si è protratto per oltre 8 anni. La Procura della Repubblica del luogo dove veniva eseguito il delitto di omicidio volontario, chiedeva il rinvio a giudizio di Tizio e Caio poiché ritenuti responsabili dell’omicidio di Rossi. Alla luce di quanto premesso, la Signora Bianca si rivolgeva a codesto professionista al fine di sapere se fosse possibile costituirsi parte civile nel processo per omicidio volontario.

RISPOSTA AL QUESITO

Secondo la sentenza n. 20231 del 25 maggio 2012, sezione IV, della Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto legittima la costituzione di parte civile volta ad ottenere il risarcimento del danno morale derivante dalla morte, a seguito di incidente stradale, del proprio patrigno anche se non convivente. Nell’ipotesi di omicidio di una persona, secondo la Suprema Corte, non può escludersi che un soggetto, diverso dai coniugati e non convivente, ma tuttavia legata al defunto da un rapporto di affectio familiaris, possa subire una lesione all’interesse, giuridicamente protetto dal’articolo 2 della Costituzione, dell’integrità morale.

Quest’ultimo consiste nell’intagibilità della sfera degli affetti. E’ interesse protetto la cui lesione non consente il risarcimento ai sensi dell’art. 2043 c.c. (che prevede il ristoro dei danni patrimoniali), bensì una riparazione sulla base del disposto di cui all’art. 2059 c..c. (danno non patrimoniale) legittimando in tal modo la costituzione di parte civile. Oltre alla predetta sentenza ve ne sono molte altre ma per quanto attiene al caso che ci occupa appare decisiva la sentenza n. 46351, emessa della quarta sezione penale della Corte di Cassazione, in data 10 novembre 2014, secondo la quale : “in tema di risarcibilità dei pregiudizi di natura non patrimoniale conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona il riferimento ai “prossimi congiunti” della vittima primaria, quali soggetti danneggiati iure proprio, deve essere inteso nel senso che, in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra questi ultimi e la vittima, è proprio la lesione che colpisce tale peculiare situazione affettiva a connotare l’ingiustizia del danno e a rendere risarcibili le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate (se e in quanto queste siano allegate e dimostrate quale danno-conseguenza), a prescindere dall’esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali. La Corte di Cassazione  ha riconosciuto la risarcibilità in astratto dei danni iure proprio patiti dalla fidanzata non convivente della vittima primaria, evidenziando come a rilevare sul piano dell’an debeatur non sia tanto la sussistenza di rapporti di parentela o di affinità così come civilisticamente definiti, quanto piuttosto la sussistenza di un rapporto tra due soggetti, il quale risulti caratterizzato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti; con la conseguenza che in tale prospettiva i parametri costituzionali dovranno individuarsi nell’ art 2 della costituzione, il quale accorda rilievo alla sfera relazionale personale in quanto tale e non richiede necessariamente la ravvisabilità di un rapporto di coniugio tra due soggetti legati sul piano affettivo.”.

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La morte di una persona cara provoca nei prossimi congiunti uno stato di dolore e sofferenza che può anche tramutarsi in una vera e propria malattia. Da tempo, oramai, la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno iure proprio patito dai prossimi congiunti della vittima, i quali dimostrino che la perdita del rapporto parentale abbia generato in loro un danno non patrimoniale, derivante dalla lesione del diritto al mantenimento delle relazioni interpersonali che normalmente contraddistinguono la vita familiare, le quali trovano tutela negli articoli 29 e, 30 e 31 della Costituzione. La giurisprudenza ed in particolare con la sentenza del 10 novembre 2014, n. 46351, emessa dalla quarta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, si adopera nella definizione dei c.d. “prossimi congiunti” e sulla legittimazione attiva a richiedere il risarcimento del danno non patrimoniale da parte di un soggetto non legato alla vittima da rapporti di parentela e non convivente con essa, ma con il quale ha uno stabile e duraturo rapporto affettivo.

Il caso affrontato dalla quarta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione riguarda una fidanzata che riesce a costituirsi parte civilmente lesa nel processo per omicidio del proprio compagno non convivente (come accade nel caso che ci occupa). Nel merito, la Suprema Corte, in modo chiaro e preciso, afferma che affinchè possa configurarsi la lesione di un interesse di rilievo costituzionale, la convivenza non deve obbligatoriamente intendersi come sinonimo di “coabitazione, quando piuttosto come stabile legame tra due persone, connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti: “in tale prospettiva, di ritenuta risarcibilità dei pregiudizi di natura non patrimoniale conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona, si è chiarito che il riferimento ai “prossimi congiunti” della vittima primaria quali soggetti danneggiati “iure proprio” a ragione del carattere plurioffensivo dell’illecito, deve essere inteso nel senso che, in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra questi ultimi e la vittima, è proprio la lesione che colpisce tale pecuiare situazione affettiva a connotare l’ingiustizia dei danni ed a rendere risarcibili le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate (se ed in quanto queste siano allegate e dimostrate quale danno-conseguenza), a prescindere dall’esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali.”.

A sostegno del proprio orientamento, inoltre, la Corte precisa che i parametri costituzionali ai quali fare riferimento non sono gli articoli 29 e 30 della Costituzione (in virtù dei quali il legame dovrebbe necessariamente strutturarsi come un rapporto di coniugio), ma l’articolo 2 della Costituzione, che attribuendo rilevanza costituzionale alla sfera relazionale della persona, legittima la pretesa risarcitoria in favore del prossimo congiunto non convivente. Sul piano probatori, secondo la Suprema Corte di Cassazione, spetta “al danneggiato, che chiede il risarcimento del danno non patrimoniale attinente alla propria sfera relazionale, dare la prova dell’esistenza e della natura di tale rapporto, potendo tuttavia questa essere fornita con ogni mezzo, ed anche mediante elementi presuntivi; e che spetta al giudice di merito accertare, alla stregua delle circostanze del caso concreto, e degli elementi, anche presuntivi, addotti dalla parte, l’apprezzabilità della relazione affettiva, a fini risarcitori.”.

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Nel caso di specie, emerge inequivocabilmente che tra la vittima (Rossi) e l’odierna costituenda parte civile (Bianchi) vi fosse uno stabile legame, connotato da una duratura e significativa comunanza di vita e di affetti. Tra la vittima e l’odierna costituenda parte civile vi era un legame stabile e duraturo che ebbe inizio circa 8 anni prima del decesso della vittima. Risulta provata, dagli atti allegati, la significativa comunanza di vita e di affetti tra le parti, nonostante la mancata coabitazione degli stessi derivante dalla loro giovane età e delle oggettive difficoltà economiche della vittima.

Nel caso de quo, l’omicidio volontario eseguito dagli indagati a danno di Rossi, ha comportato per la Signora Bianca una notevole sofferenza, considerato che la stessa era fidanzata da circa 8 anni con la vittima, pertanto, non potrà negarsi alla costituenda parte civile il diritto di costituirsi nel giudizio penale, malgrado la stessa non risulti coniugata e convivente con la vittima, ma tuttavia la stessa risulta legata da un rapporto morale stabile e duraturo non contestabile. La perdita del compagno da parte della fidanzata di Rossi ha pregiudicato la sua esistenza e la sfera dei suoi affetti più importanti e cari, in quanto per la stessa il Rossi era un compagno ed in buona sostanza l’amore della sua vita.

A questo punto è possibile rispondere al quesito.
La Signora Bianchi potrà costituirsi nel processo per omicidio per ottenere il ristoro del solo danno non patrimoniale patito, ai sensi del combinato disposto dagli artt. 2059 c.c. e 185 c.p. per ottenere il risarcimento del solo danno morale.

Si rimane a completa disposizioni per ulteriori chiarimenti.

Roma lì 8 aprile 2017

                                                                                                          Avv. Savino Guglielmi