RICOSTRUZIONE STORICA E PROCEDURA
In data 24 novembre 1983, il Consiglio d’Europa ha siglato la Convenzione europea per il risarcimento delle vittime di reati violenti, con lo scopo, da un lato, di armonizzare i sistemi giuridici statali in materia di indennizzo delle vittime di reato e, dall’altro, di creare meccanismi di cooperazione tra gli stati firmatari che consentissero di regolamentare i casi in cui la vittima residente in un paese diverso da quello in cui il reato è stato compiuto potesse fruire del predetto indennizzo. Pur comparendo tra i paesi firmatari, l’Italia è uno dei pochi paesi che non ha ratificato questa convenzione.
In armonia con tale Convenzione, è intervenuta anche I’Unione Europea, la quale si è spinta oltre, approvando nel 2004 la Direttiva 2004/80/EC. Quest’ultima è stata recepita parzialmente anche dall’Italia, con il decreto legislativo 6 novembre 2007, n.204.
Lo Stato italiano ha individuato le risorse, le modalità e gli organi competenti, ad assistere le vittime italiane di reati perpetrati in altri Stati membri ed ad ottenere da questi ultimi un congruo risarcimento.
L’Italia non ha recepito, tuttavia, l’art. 12, paragrafo 2, della Direttiva 2004/80/EC, secondo cui gli Stati membri si sono impegnati affinché “le loro normative nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime.”.
Nella nostra legislazione, ad onor del vero, sono previste numerose disposizioni di legge che tutelano le vittime di reati specifici, riconoscendo loro il diritto a un ristoro economico, come ad esempio le vittime di terrorismo, della criminalità organizzata, di estorsione e usura, di reati di tipo mafioso, di stragi, di tratta di esseri umani.
Tuttavia risultava assente un sistema di indennizzo per i reati intenzionali violenti della c.d. criminalità comune non coperti dalle leggi speciali.
Conseguentemente nel nostro paese, sia per le vittime sopravvissute ai reati di violenze che per i familiari delle vittime, risultava molto complicato ottenere un ristoro economico.
Non a caso, l’Italia ha ricevuto numerosi richiami da parte della Corte di Giustizia Europea oltre che esortazioni da parte della Commissione Europea, per non aver ottemperato a quanto previsto nella citata Direttiva Europea CE/2004/80.
Successivamente, con la Legge 7 luglio 2016, n. 122, anche il nostro paese ha previsto il “diritto all’indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti, in attuazione della direttiva 2004/80/CE”. La predetta Legge ha istituito il Fondo per le vittime dei reati intenzionali violenti ed ha posto quindi fine ad anni di inerzia del nostro paese, prevedendo l’integrazione del “Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura”.
Come stabilito dalla Legge n. 122 (art. 11 comma 3), lo Stato italiano ha poi varato, anche se in ritardo il Decreto del 31 agosto 2017, con il quale sono state previste somme specifiche per l’indennizzo che l’Italia corrisponderà alle vittime di reati intenzionali violenti.
Tali somme non risultano assolutamente sufficienti per tutelare le vittime dei reati violenti, anche alla luce sia dell’introduzione del delitto di atti persecutori, ai sensi dell’art. 612 bis c.p. (introdotto con l’art. 7 del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con la Legge 23 aprile 2009, n. 38), che con la successiva introduzione del c.d. Codice Rosso (Legge 69 del 19 luglio 2019), con il quale è stato ampliato il ventaglio dei delitti riconducibili ai reati violenti.
Si pensi ai delitti di cui agli artt. 387 bis c.p. (Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla P.O), 558 c.p. (“Costrizione o induzione al matrimonio”), 612 ter c.p. (“Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”), 583 quinquies c.p. (“Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso”).
Giunti a questo punto appare utile affrontare la tematica relativa alla procedura per accedere a tale indennizzo.
L’art. 14 della Legge 122/2016 ha aggiunto al fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime di reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura, anche quello relativo alle vittime di reati violenti, denominandolo “Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime di reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura e dei reati intenzionali violenti.”.
Per quanto attiene alla procedura l’art. 12 della Legge 122/2016 prevede che “L’indennizzo è corrisposto alle seguenti condizioni: a) che la vittima sia titolare di un reddito annuo, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a quello previsto per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato; b) che la vittima abbia già esperito infruttuosamente l’azione esecutiva nei confronti dell’autore del reato per ottenere il risarcimento del danno dal soggetto obbligato in forza di sentenza di condanna irrevocabile o di una condanna a titolo di provvisionale, salvo che l’autore del reato sia rimasto ignoto; c) che la vittima non abbia concorso, anche colposamente, alla commissione del reato ovvero di reati connessi al medesimo, ai sensi dell’art. 12 del codice di procedura penale; d) che la vittima non sia stata condannata con sentenza definitiva ovvero, alla data di presentazione della domanda, non sia sottoposta a procedimento penale per uno dei reati di cui all’art. 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale e per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto; e) che la vittima non abbia percepito, per lo stesso fatto, somme erogate a qualunque titolo da soggetti pubblici o privati.”.
Mentre, l’art. 13, comma 2, della Legge 122/2016 statuisce che “1. La domanda di indennizzo è presentata dall’interessato, o dagli aventi diritto in caso di morte della vittima del reato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale e, a pena di inammissibilità, deve essere corredata dei seguenti atti e documenti: a) copia della sentenza di condanna per uno dei reati di cui all’articolo 11 ovvero del provvedimento decisorio che definisce il giudizio per essere rimasto ignoto l’autore del reato; b) documentazione attestante l’infruttuoso esperimento dell’azione esecutiva per il risarcimento del danno nei confronti dell’autore del reato; c) dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, ai sensi dell’articolo 46 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, sull’assenza delle condizioni ostative di cui all’articolo 12, comma 1, lettere d) ed e); d) certificazione medica attestante le spese sostenute per prestazioni sanitarie oppure certificato di morte della vittima del reato. 2. La domanda deve essere presentata nel termine di sessanta giorni dalla decisione che ha definito il giudizio per essere ignoto l’autore del reato o dall’ultimo atto dell’azione esecutiva infruttuosamente esperita.”.
Alla luce di quanto ricostruito appare evidente come con la Legge 7 luglio 2016, n. 122, che ha previsto il diritto all’indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti, in attuazione della direttiva 2004/80/CE, anche nel nostro paese le vittime di reati violenti hanno trovato una prima ed importante tutela.
E’ opportuno sottolineare, tuttavia, che tale indennizzo non può essere meramente simbolico, considerate le somme stanziate dallo Stato italiano a tale scopo, ma dovrà necessariamente tener conto delle peculiarità del crimine e della sua gravità, ma si dovrà anche considerare tutto il vuoto normativo che per anni è stato creato per l’inerzia del nostro legislatore.
In tale direzione si è espressa la Suprema Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la sentenza n. 26757/2020, depositata il 24 novembre 2020 che di seguito sarà oggetto di specifico approfondimento.
Avv. Savino Guglielmi
Suprema Corte: lo Stato deve pagare la vittima di abusi sessuali che non è stata risarcita dagli autori del reato.
La terza sezione civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 26757/2020, depositata il 24 novembre 2020, il giorno antecedente alla giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ha chiarito che nel caso in cui la vittima di violenza sessuale (o di altri reati violenti e intenzionali) non riesca ad ottenere un risarcimento da parte dell’autore dell’abuso, dovrà essere lo Stato a riconoscerle un indennizzo, il cui importo non potrà essere puramente simbolico, ma andrà parametrato tenendo conto delle peculiarità del crimine e della sua gravità, come sancito nello scorso luglio dalla Corte di giustizia europea.
La pronuncia trae origine dalla vicenda, accaduta nell’ottobre 2005, di una donna, aggredita, sequestrata e costretta con violenze e minacce a praticare e subire ripetutamente atti sessuali. Dopo la condanna penale degli imputati, la donna non era riuscita a ottenere dagli stessi alcun risarcimento, in quanto si erano resi latitanti.
Cosicché la donna ha citato in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri per ottenere il risarcimento del danno da lei subito a causa della tardiva trasposizione da parte dell’Italia della direttiva 2004/80/CE (art. 12, par. 2) – recepita solo nel 2017 – che ha imposto a ciascuno Stato membro di dotarsi di un sistema di indennizzo delle vittime per ogni reato intenzionale violento commesso sul proprio territorio, compreso il reato di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c.p..
La domanda della donna veniva accolta in primo grado con la condanna della Presidenza del Consiglio al pagamento di 90mila euro nei confronti della vittima, condanna che veniva poi confermata anche dalla Corte d’Appello la quale, tuttavia, provvedeva a ridurre la somma dovuta a 50mila euro, ritenendo non trattasi di un pieno risarcimento del danno in ragione della natura indennitaria della responsabilità dello Stato italiano per omessa o tardiva attuazione della direttiva comunitaria.
Giunta in Cassazione, la vertenza è stata decisa con la su citata sentenza con cui sono stati affermati i seguenti principi:
– alle vittime di reati intenzionali violenti commessi in Italia spetta il risarcimento del danno per tardiva trasposizione, nell’ordinamento interno, dell’art. 12, paragrafo 2, della Direttiva 2004/80/CE, che impone agli Stati Membri, con riguardo ai cittadini UE e con riferimento ai fatti verificatisi nei rispettivi territori, di riconoscere un indennizzo a tali vittime;
– il menzionato indennizzo compete alle vittime di ogni reato intenzionale violento commesso nel territorio di uno Stato Membro e, quindi, anche in relazione al delitto di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c.p. e pur se dette vittime risiedono nel territorio dello Stato Membro (cosiddette vittime non transfrontaliere) ove il crimine è avvenuto, senza che per esse sia necessario instaurare un giudizio civile di responsabilità nei confronti degli autori del fatto, qualora questi ultimi si siano resi latitanti;
– l’indennizzo non può essere meramente simbolico, ma, se determinato in via forfettaria, deve tenere conto delle peculiarità del crimine e della sua gravità;
– dall’ammontare riconosciuto alle vittime in questione a titolo di risarcimento del danno per la tardiva trasposizione del citato art. 12, paragrafo 2, delle Direttiva 2004/80/CE nell’ordinamento italiano, deve essere detratta la somma loro corrisposta quale indennizzo ex L. n. 122 del 2016 e successive modifiche, trovando applicazione l’istituto della “compensatio lucri cum damno”.
Nella specie la tardiva trasposizione della direttiva 2004/80/CE, che nei confronti di vittima non transfrontaliera di reati intenzionali violenti commessi nell’ottobre 2005, è avvenuta soltanto a seguito dell’intervento novellatore di cui alla legge n. 167 del 2017, entrata in vigore il 12 dicembre 2017, ha comportato il riconoscimento in favore della donna – vittima del reato di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c.p. – di un indennizzo, dapprima quantificato, in base al decreto del Ministro dell’interno 31 agosto 2017 (emanato ai sensi del comma 3 dell’art. 11 della legge n. 122 del 2016 e successive modifiche), in un importo fisso di € 4.800,00. Importo che, soltanto a seguito del decreto del Ministro dell’interno del 22 novembre 2019 è stato elevato per lo stesso reato alla misura fissa di € 25.000,00, valore incrementabile di un ammontare fino al massimo di € 10.000,00 per spese mediche ed assistenziali.
In applicazione dei su esposti principi, la Cassazione, dall’importo risarcitorio liquidato dalla Corte territoriale di € 50mila, ha detratto l’importo di € 25mila a titolo di indennizzo ex lege, erogato alla vittima, nel corso del giudizio di legittimità, condannando così la Presidenza del Consiglio a versare oltre 30mila euro alla donna, nonché le spese dell’intero giudizio.
Avv. Alfonsina Lombardi